Mostra: La vanità dell’assenza di Dario Fiocchi Nicolai

Mostra: La vanità dell’assenza di Dario Fiocchi Nicolai

In tempi remoti partecipare ad un vernissage significava essere dei privilegiati, dei veri prescelti, proprio perché solo in quell’occasione l’artista stendeva sul quadro la vernice finale trasparente, l’atramentum, affinché i dipinti mostrassero una maggiore lucentezza, prima dell’apertura ufficiale della mostra al pubblico.

In tempi più recenti partecipare ad un vernissage significa non essere più scelti ma semplicemente scegliere, attraverso il web, un qualsiasi evento artistico, che riporti appunto la parola vernissage.

Si vedono così aggirarsi in questi luoghi delle figure evanescenti, che sembrano vagare, attraverso impalpabili e sfuggenti corpi, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i loro smaglianti ed acuminati denti, proprio per placare un’insaziabile e imprescindibile fame, che è però fame di presenza, che diventa appunto esistenza, sopravvivenza in un mondo nel quale si deve a tutti i costi apparire, ritrovarsi per poi riperdersi nuovamente. “Chi vive, quando vive, non si vede: vive…Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la sta vivendo più: la subisce, la trascina”, scriveva Pirandello; e, in questo senso, l’artista Nicolai sembra essere riuscito a darci finalmente l’illusione di osservare e vedere la nostra vita all’opera, senza subirla in questo caso, trascinandocene anzi fuori attraverso la forza unica e redentrice dell’arte.

Ed è appunto a queste eteree ed incantate figure che Nicolai sembra riferirsi e ispirarsi, allontanandosene però allo stesso tempo. La sensazione dunque che si avverte in ogni suo quadro è quella di un’artista che sembrerebbe aver passato e ripassato, su questi volti e corpi sfumati e indistinti, proprio quella vernice trasparente, finendo per renderli ancora più nitidi e resistenti al tempo, in una parola vivi. “La storia mentale sottesa al dipinto è in chi lo guarda, o meglio in chi lo ‘legge’ cioè sono gli spettatori che fanno il dipinto.” Così diceva Marcel Duchamp e allora, come non mai, in questi quadri sono proprio gli stessi spettatori a “fare” il dipinto, nel senso di essere essi stessi il dipinto, diventando così spettATTORI, attori di un evento e contemporaneamente testimoni dello stesso, personaggi in cerca di un pittore che li possa immortalare in un momentaneo palcoscenico che poi non è altro che la loro stessa vita. Una pittura dunque schietta e sincera, ma anche riservata e segreta, che cerca a tutti i costi di immortalare ciò che di per sé è già morto, svanito, in quanto mai esistito, verniciando e sverniciando, senza fine, dei semplici e mortali esseri umani in un momento di epifanica e vanitosa assenza.

Redazione

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