Giulia Porena…

Giulia Porena…

Benvenuta Giulia. Dimmi un po’, come reagisci agli imprevisti, nel bene e nel male?

Naturalmente dipende dal tipo di imprevisti, comunque nella maggior parte delle volte cerco di rendere la situazione, se non vantaggiosa, quanto meno utile alla mia crescita o al bene mio e degli altri.

Non vedi l’ora di crescere? E se diventassi famosa?

Ogni cosa a suo tempo, anche se mi piace immaginarmi in maniera spesso diversa in un futuro nel quale sarò adulta. Diventare famosa, invece, non è certo una cosa che immagino facilmente, non ho mai considerato realmente la possibilità che questo possa accadere. Nel caso in cui dovessi avere tanta fortuna da raggiungere una certa fama spero che quello che mi piace fare e quello che faccio non cambi troppo, condizionata dal successo o dall’insuccesso (si diventa famosi sia per parlar bene che per parlar male); l’importante è mantenere la passione per quello che si cerca di conseguire.

In qualsiasi relazione, prendi te l’iniziativa?

Quasi sempre, mi piace far accadere ciò che voglio che accada. Naturalmente sempre nel rispetto delle persone con le quali entro in contatto.

Scrivi in contemporanea a uno e più sentimenti che provi, o per colmare dei vuoti appositi?

Scrivo quello che sento. Probabilmente finisco per scrivere anche quello di cui ho bisogno, ma sinceramente non è una cosa nella quale mi soffermo troppo a pensare. Quasi tutto quello che scrivo esce di getto, come se la mia testa me lo dettasse; così sto scrivendo anche le risposte a queste domande, ma ancora di più succede quando devo scrivere, sotto una bella forma, qualcosa capace di esprimere e trasmettere quello che penso o che sto provando.

Qual è la tua stagione preferita, e perché?

Non ho una stagione preferita in particolare, ma se ora dovessi a tutti i costi fare una scelta direi l’inverno, soprattutto per il freddo, la neve e la serenità che mi trasmette. Comunque penso che ogni stagione abbia qualcosa di proprio e di bellissimo, che sarebbe quindi inutile preferirne una a un’altra; anche solo per il fatto, come succede per le emozioni, che l’esistenza di una meno positiva faccia apprezzare maggiormente l’arrivo di un’altra considerata migliore.

Cosa ti ha spinto a pubblicare la tua opera? “La stanza dei Pensieri” è stato un lavoro pensato interamente da te, sapevi sin dall’inizio come strutturarlo al di là del contenuto, pertanto ami leggere in primis?

Come ho già spiegato molte volte in altre interviste, il libro è nato in maniera assolutamente casuale, senza l’aspettativa che venisse addirittura pubblicato. Scrivere mi è sempre servito per stare meglio e per capirmi, quindi ho parecchi scritti che tengo per me, al di là delle produzioni destinate a un’eventuale pubblicazione. Sì, è stato un lavoro pensato interamente da me, “cucendo” insieme delle lettere particolari che avevo scritto decidendo di parlare di una certa emozione per sfogarmi nei momenti stessi in cui provavo quelle emozioni. L’idea del libro è nata dopo aver conosciuto l’editrice, Lara di Carlo; da lì ho iniziato anche a pensare a una struttura che potesse, attraverso queste corrispondenze che alla fine possono essere considerate anche come un monologo, raccontare una storia che potesse parlare di e a tutti, ma senza cadere nella banalità di un semplice racconto. La struttura, al contrario delle lettere che sono state scritte quasi come un “flusso”, è stata studiata (solamente da me, ovviamente) e realizzata secondo precisi parametri e intenzioni. Ripeto che non avevo idea, quando avevo solo le lettere, che sarebbe diventato un libro; anche perché avevo già per diverso tempo pensato di poter provare a scrivere qualcosa di più complesso di racconti ed esercizi, ma avevo sempre lasciato stare dopo un po’. Per quanto riguarda la lettura sì, amo moltissimo leggere, è stato ed è uno dei miei punti fermi, qualcosa che mi rende sicura e mi permette di essere un po’ più libera, in tutti i sensi.

Raccontami: Ascolti la musica (tutta?), e…?

Sì, la musica, insieme alla letteratura, è una delle arti che mi segue da quando sono nata. Posso dire che sono molti i generi che mi piacciono, da alcune tipologie della musica di oggi al repertorio operistico. La musica è arte, così come il teatro, la pittura, la letteratura e qualsiasi altra cosa che faccia provare emozioni a chi la crea o a chi ne fruisce. E l’arte, apprezzata a dovere, è una delle cose migliori che esistano: fa evadere, rende liberi, consapevoli e spesso sembra che trasmetta tanto potere da rendere onnipotenti; capace di sfiorare le parti più sensibili di noi rappresentando qualsiasi cosa, purché vera e sentita. La cosa più bella è che le arti possono dialogare tra loro, collaborare e mischiarsi per rendere ancora più profondo quello che trasmettono. Quindi sì, ascolto molta musica e anche se ho smesso in parte di suonare continuerà a fare sempre parte della mia vita; non potrei immaginare la mia vita senza l’arte, sarebbe mera sopravvivenza.

Le nuove generazioni, secondo te perché non si lasciano acculturare a dovere?

Secondo me tutto dipende da come viene loro presentata l’idea di cultura. Rappresenta le radici della propria umanità, è espressione artistica e profondo sentire della bellezza. In realtà la cultura è una cosa più semplice di come viene intesa, non è solo il leggere meccanicamente tanti libri assegnati da finire obbligatoriamente entro un certo termine per non venir sgridati; è conoscere le proprie origini, leggere qualcosa e sentire la voce dell’autore che in quel momento sta dialogando con te, che ti racconta qualcosa del suo tempo e del suo Io. Un ragazzo difficilmente apprezzerà qualcosa che è costretto a fare, ma non riuscirà a rifiutare qualcosa che, come l’arte, lo può far stare bene. L’approccio conta moltissimo. Penso però anche che un minimo bisogna essere educati ad apprezzare la bellezza, e che quest’educazione debba partire non dai ragazzi, ma dai bambini. La cultura va presentata non come un obbligo, ma come un piacere, qualcosa nel quale possono riuscire e sentirsi tutti a proprio agio, allo stesso tempo come qualcosa di personale e prezioso. In fondo della cultura non ci si può liberare né si può ignorare, ricade sulle spalle di ogni generazione e richiede a ognuna di aggiungere qualcosa, così da poter lasciare l’eco della propria voce e trasmetterlo alle successive, in un dialogo intimo che mette in contatto tutti i secoli. Non facciamo odiare ai ragazzi la cultura, arricchisce più di quanto non si immagini.

In conclusione, la follia serve a…?

… rendere la vita più interessante.

“La stanza dei pensieri”

Attimi di vita, impercettibili quando le cose ci vengono spontanee, ebbene quest’autrice riesce a tramutare in realtà, come se si trattassero di abiti da portare sensibilmente addosso, abili a comunicare con Giulia stessa come con tutti i suoi lettori.

Una complessità spirituale traspare per l’umanità in prospettiva, le riflessioni danno adito a un senso di trasporto impossibile da controbattere, dovendo riconoscere un’immagine, quella di sé, privatamente.

Il testo si rivela un romanzo ma anche una raccolta di lettere, conforme alla parola che aspetta nient’altro d’essere letta a dei cambi di programma.

Si comincia insomma con la scrittrice che agevola l’accesso alla sua mente, per condividere una lettura approfondita, con l’intimo a perseverare, scandendosi in successione, sotto forma di un racconto.

(PanDiLettere, 2019; Pagg. 66; Prezzo: 10euro)

  • Giulia Porena, nata a Roma nel 2002, è studentessa al liceo delle Scienze Umane.

È appassionata di letteratura, psicologia e musica, alla quale si è accostata già dal primo anno di vita, intraprendendo lo studio di diversi strumenti musicali e del canto.

Attualmente canta e studia come soprano nella Cantoria del Teatro dell’Opera.

Vincenzo Calò

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