Il 9 aprile di duecento anni fa nasceva Baudelaire, il padre della poesia moderna

Il 9 aprile di duecento anni fa nasceva Baudelaire, il padre della poesia moderna

Charles Baudelaire nasceva a Parigi il 9 aprile 1821 e moriva il 31 agosto 1867. Siamo al bicentenario. Fu il vero maestro di Marcel Proust.  Baudelaire rompe tutti i moduli, anzi tutti gli “steccati” e, rompendo questi steccati, crea un nuovo modo di fare poesia, quel nuovo modello di fare poesia che è l’esplosione della parola, del verso, del linguaggio e lo fa in termini semantici veri e propri, in una Francia che era ancora accarezzata dalla fase post rivoluzionaria, dall’Illuminismo.

Baudelaire rompe questi steccati sul piano della comunicazione linguistica e usa una terminologia, quindi una semantica, in cui la parola, sia nella traduzione dal francese, ma anche restando nella lingua francese, ha un significato e un significante abbastanza coreografico.

Questo risultato lo ottiene servendosi di tematiche abbastanza innovative che hanno, in seguito, rivoluzionato tutta la poesia europea, perché l’innovazione della poesia europea nasce, appunto, proprio da Baudelaire e nasce poiché usa un linguaggio abbastanza rivoluzionario, ma anche perché utilizza delle problematiche rivoluzionarie e tra queste problematiche c’è la questione riferita al tema del viaggio, al tema della morte, al tema del rimorso, al tema del male di vivere.

Le fleurs du mal non sono altro che questo rompere, questo spaccare, questo “spacchettare” il concetto di una psicologia analitica del linguaggio poetico in una dimensione onirica. La poesia resta al di là e al di sopra di qualsiasi forma di psicoanalisi, in quanto la poesia è linguaggio esistenziale, è l’antropologia dell’uomo e quando parla dei fiori del male non fa altro che recitare un’alchimia del dolore.

Siamo a un concetto forte con Baudelaire, forte e innovativo: l’alchimia, appunto. In Baudelaire c’è questa alchimia e l’alchimia forte è rappresentata da questi fiori del male che non dovrebbero essere letti, in una prima interpretazione, come una vera e propria maledizione. Il fiore in sé è una purificazione, una bellezza, ma Baudelaire parla anche della bellezza, però il male è il maligno, il maledetto, e questo male maledetto, maligno, che cattura la coscienza del poeta e la coscienza degli uomini del ‘900 successivamente, è una profezia che ci fa comprendere come l’inquietudine dell’uomo è tutta sospesa a un filo, il filo dell’alchimia.

Quando Baudelaire ci recita questo Spleen(siamo in due momenti della poesia de I fiori del male e lo Spleen) avvertiamo questo esplodere del verso del linguaggio. Questa sezione presenta in sé la caratteristica di una poesia che non è più romantica, che perde la sensualità del romanticismo, ma che recupera quella sensitiva malattia dell’anima e la sensualità del romanticismo diventa la sensualità alchemica che è tutta una visione, una dimensione in cui l’onirico prende il sopravvento.

Ci sono diverse considerazioni che possiamo fare perché con lo Spleen siamo alla musica dell’esplosione, alla parola musicale che diventa esplosione, ma in termini tematici siamo a una dimensione in cui il concetto di alchimia diventa forte. Desidero ricordare alcuni versi di Baudelaire, tra cui “Il serpente che danza”:

I tuoi occhi in cui nulla si rivela
di dolce né d`amaro,
sono gioielli freddi in cui si lega
il ferro all`oro.
Quando cammini con quella cadenza,
bella d`abbandono,
fai pensare a un serpente che danza 
in cima ad un bastone. 
Sotto il fardello della tua pigrizia
la tua testa d`infante
dondola mollemente con la grazia 
d`un giovane elefante,
e il tuo corpo si inclina allungandosi
come un vascello sottile 
che fila ripiegato spenzolando 
i suoi alberi in mare.

a cura di
Pierfranco Bruni 

Redazione

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