“Mala Jin. Tulipani nel cemento” di Anna D’Auria.

“Mala Jin. Tulipani nel cemento” di Anna D’Auria.

Recensione a cura di Ilaria Solazzo, giornalista pubblicista e blogger Collaboratrice di Roma Capitale Magazine.

Questo libro rappresenta un appello forte ed intenso che l’autrice rivolge a noi tutti affinché non dimentichiamo mai le donne curde! La copertina dà subito l’idea di scenari di guerra, con l’immagine di una ragazzina col fucile in spalla, tra polvere e detriti. In alto a destra il titolo enigmatico, Mala Jin, e un sottotitolo che può dar vita a varie ipotesi, “Tulipani nel cemento”.

La prefazione a cura di Barbara Alberti e l’introduzione affidata a Libera Cesino, preannunciano nomi, date e luoghi, che portano i lettori a ritrovarsi in una dimensione intermedia tra sogno e realtà.

Letteratura e società, sono, secondo la scrittrice, un connubio fecondo di attese e paure. Si scrive per farsi ascoltare, per farsi ricordare, per farsi leggere, per riflettere e per provare ad agire.

L’autrice del libro “Mala Jin” fa leva proprio sull’uso delle parole per favorire un cambiamento, affidando ai versi ed alla prosa l’arduo compito di dar voce a chi vive in una zona d’ombra. Le donne curde lottano per rivendicare i diritti inalienabili di ogni essere umano e noi tutti siamo chiamati a non voltare loro le spalle.

La Dottoressa Anna D’Auria ha accolto l’accorato appello del 2015 di queste donne in difficoltà e ci ha messo testa e cuore per sviscerare emozioni contrastanti che si annidano nell’animo umano.

Il messaggio che la D’Auria inserisce nel suo libro è rivolto a tutto il mondo. Lo fa con una narrazione densa di emozioni, che si rinnovano e continuano a vivere in noi, alimentate dalle pause poetiche che si alternano alla prosa.

Nelle 226 pagine ci si immerge nel dolore e si ​ cerca la forza per andare avanti e capire, in nome della sorellanza alla quale l’opera della D’Auria rimanda… un farsi carico dei temi trattati per valutare le azioni che possono conseguirne.

Parole ed immagini invitano ad un’attenta ricerca. Ci si domanda, ad esempio, quale significato assumono nella storia narrata e che legame hanno con la realtà quei volti di donne che sembrano tanto lontane da noi.

Elena, è il nome della protagonista, che intraprende la ricerca di sé e del proprio passato, fino a quando, giunto il giorno del suo quindicesimo compleanno, nota che i sogni nella dimensione “atemporale” diventano un sogno ricorrente. Il suo vero nome è Doris, un fagotto in fasce trovato nella baia di Trentova, e quando le visioni oniriche le rivelano di essere una leonessa curda, lei è pronta a seguire il proprio destino, a recarsi in Anatolia per affiancare il suo popolo nella lotta. Lì conosce la Mala Jin, la casa delle donne, un luogo di accoglienza creato dalle donne curde, in nome di quella sorellanza che vive in loro, ispirata dall’empatia.

Doris raccoglierà l’eredità del suo popolo ascoltando le voci dei fiori che sbocciano nella vicina distesa scarlatta. Olan, Ilham, Leyla, Ronax, Zehira, sono fiori bellissimi che le parleranno delle violenze subite, dei diritti negati, della sofferenza patita, dei sogni strappati.

“Il sangue impregna la terra, non lo dimenticate!”. Una frase che entra come un pugno nello stomaco perché evidenzia la crudeltà degli uomini contro altri uomini.

Sono loro i Tulipani nel cemento, le donne curde, con la loro forza d’animo, con la loro resilienza, pronte a resistere ad ogni costo.

Sono volti femminili apparentemente forti che, a volte, vengono definite bambole di carta, con una metafora che ne richiama l’estrema fragilità, perché i frammenti di carta rappresentano le loro vite, lacerate dalla violenza e disperse dal vento… che continuano a gridare al mondo il proprio dolore.

Tante sono ahimè le numerose vittime di naufragi da restituire all’abbraccio dei loro cari, scrive qualcuno, perché difatto solo una degna sepoltura può consentire loro di raggiungere davvero il regno delle ombre.

Le lacrime scendono senza sosta sul mio volto al pensiero di tante persone morte per volontà dell’uomo e non di Dio.

“Mala Jin. Tulipani nel cemento” di Anna D’Auria, racchiude il dramma di bambine cresciute troppo in fretta e costrette alla guerriglia per difendere la loro libertà. Bambine che hanno avuto la sfortuna di nascere nella parte del mondo più triste.

Il titolo di questo romanzo, di formazione, offre già una chiave interpretativa dell’opera. Mala Jin è la casa delle donne. Un’abitazione aperta a tutte le donne provenienti da un “altrove” che può essere un villaggio vicino o una città lontana, ma ​ metaforicamente, è anche il luogo dell’emancipazione delle donne da una condizione a cui l’universo maschile le confina in tutte le latitudini del tempo e dello spazio. Anna D’Auria narra con dei versi ed una prosa di rara intensità la storia di Elena, memorabile eroina sfuggita a un destino di sopraffazione e sofferenza attraverso una tragica migrazione. La scrittrice dalla sensibilità disarmante ci racconta di una giovane donna che si interroga sul suo passato e su un tempo in cui aveva un altro nome. La coraggiosa protagonista che sembra essere un’eroina moderna della Marvel, decide di tornare, facendo una scelta di vita per molti incomprensibile. Elena decide il suo futuro di guerrigliera curda, accanto alle donne del suo vero popolo perché ritiene che quel popolo che vive “eternamente diviso senza uno stato, senza diritti in una terra smembrata” non va lasciato solo. Elena matura un consapevole progetto di vita, ovvero quello di voler ritornare “nel cemento per assaporare l’acre sapore della vita. Deve tornare ad essere Doris, una leonessa curda: “un fiore nel cemento, come tutte le donne curde”.

Un libro che fa venire i brividi. Un racconto che non lascia indifferenti. Un romanzo che centra l’attenzione del lettore su alcuni tra i più dolorosi drammi individuali e collettivi della nostra contemporaneità: l’indifferenza dinanzi al dolore altrui.

Con una narrazione fluida ed un ritmo avvincente la bravissima scrittrice Anna D’Auria ha condotto ognuno di noi dentro la storia per ricordarci quanto la memoria sia importante per la costruzione del progresso. Consiglio a tutti di comprarlo e di leggerlo

Sheyla Bobba www.sbscomunicazione.it

Quattro chiacchiere con Sheyla Bobba.

Ilaria – Che emozioni ha suscitato in te la lettura di questo libro?
Sheyla – È decisamente un lavoro complesso, quello fatto da Anna. Ha unito sapientemente storia contemporanea e leggende e una storia che ha il sapore amaro e doloroso della verità, anche se addolcita dalle poesie della stessa D’Auria inserite nel romanzo. Si tratta quindi di rimanere coinvolti in un uragano di emozioni che lasciano il lettore incollato al libro e arricchito.

Ilaria – Quali trovi siano i punti di forza di questo romanzo?​
Sheyla – La D’Auria è una docente molto apprezzata e padroneggia un meraviglioso italiano. Nonostante questo la scrittura non è complessa, risulta scorrevole e piacevole. Anna ha studiato e si è documentata molto per scrivere questo libro, quindi se ne traggono anche molte informazioni su un tema ben poco dibattuto.

Ilaria – Ha anche a tuo avviso una parola che può racchiudere bene tutto il libro?
Sheyla – Sì, amore, nonostante tutto.

Ilaria – Perchè i lettori, a tuo dire, dovrebbero acquistare il libro e leggerlo il prima possibile?
Sheyla – Perchè, come tutti i buoni libri, arricchisce.

Redazione

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